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lunedì 2 gennaio 2017

Lamù – Beautiful Dreamer

 

Anno: 1984
Formato: Lungometraggio
Produzione: Studio Pierrot
Disponibilità: Yamato Video

Mamoru Oshii rientra certamente nella categoria dei registi giapponesi più rinomati all’estero assieme ad Hayao Miyazaki e Katsuhiro Otomo. Personalità risoluta, vive la gioventù in un periodo di grande mutamento per il paese, partecipando in prima persona alle contestazioni studentesche organizzate a causa dei rapporti con gli Stati Uniti, eventi che lo forgiano avvicinandolo agli scenari politici.
In ambito lavorativo è conosciuto per essere uno dei maestri della fantascienza impegnata, abile nell’imbastire le sue produzioni con grandi riferimenti alla cultura orientale.
Non esiste una scrittura impersonale, per lui il cinema non è fonte d’evasione quanto un’opportunità per approfondire le proprie (come ama definirle) ossessioni.
L’arrivo allo Studio Pierrot in pieno “Anime Boom” (sollecitato anche dai nuovi modelli di fruizione), gli permette di partecipare ad una serie come Lamù che raggiunge settimanalmente il 20% di share, e che diventa fondamentale nell’interpretare un’epoca: esprime il benessere sociale derivante dall’economia. Siamo infatti ancora lontani dallo scoppio della bolla speculativa.
Perfettamente consapevole che il modo di narrare cambia a seconda del medium, la sua poetica è influenzata dall’invasione cyberpunk che avviene nella seconda metà degli anni 80, tuttavia questo lungometraggio getta le basi del suo stile.
Inutile dire che nei prodotti destinati alle sale cinematografiche è difficile sperimentare tecniche alternative poiché si punta al guadagno facile per far rientrare i costi, ed i registi generalmente cercano di non snaturare il franchise, ma Oshii non è il tipo che asseconda le esigenze dello spettatore medio solo per denaro, difatti la pellicola riscuote poco successo ai botteghini, anche se col tempo finisce per essere rivalutata.
Proprio 2 anni fa è stata rilasciata la versione Blu-Ray, e sono attese novità anche per il mercato italiano.


Non è un caso che Rumiko Takahashi, autrice la quale ha saputo unire come poche altre un collettivo ampio e variegato, abbia detestato il lavoro di Oshii, giacché assistiamo ad uno stravolgimento completo del concept della storia.
La visione dei primi minuti può ingannare, ma poi i toni divengono più seri, l’immedesimazione sale, l’analisi introspettiva si fa largo, l’immagine assume finalità metaforica e la scena nuova si oppone alla convenzione precedente, enfatizzando l’aspetto fantastico nella forma più concettuale e astratta.
Se l’efficace binomio fra sequenze dialogate e riflessive funziona, il merito è di una sceneggiatura eccellente che offre possibilità di espressione sterminate anche attraverso linguaggi diversi, fino ad arrivare al punto nel quale ogni cosa si genera e distrugge, in cui i personaggi sono impotenti dinnanzi al divenire, dove gli scenari post-apocalittici iniziano ad occupare in maniera consistente la vicenda.
Oshii espone gli elementi a lui più cari: si passa dall’esistenzialismo all’indagine metafisica, senza dimenticare l’atmosfera onirica che poi riprenderà appena 12 mesi dopo in “Tenshi No Tamago”, donando quel senso utopico all'esposizione.
Nessuna negazione della realtà oggettiva ed effettiva, ma viene a mancare uno dei principi fondamentali del cinema, quello per cui il pubblico deve sempre capire tutto, verso l’esaltazione di un fruitore diverso.
La struttura, piuttosto circolare, lascia l’analessi per l’epilogo, mantenendo dunque un ritmo narrativo continuo per intero.
Nonostante la cifra non elevatissima stanziata, la regia si dimostra veramente accurata, in virtù di quell’idea secondo cui la forma prevale su tutto; aldilà degli ottimi disegni, è Oshii stesso a sbizzarrirsi con le inquadrature.
Talvolta, la narrazione cede il passo alla sembianza visiva, con gli sfondi che giocano un ruolo importante poiché occupano gran parte della fotografia finale.
Merita una menzione anche il comparto sonoro, che non manca di far sentire il proprio apporto nei momenti decisivi accentuando lo stato di inquietudine dei protagonisti.


“Beautiful Dreamer” non è solo una celebrazione dell’adolescenza, estrema provocazione al mondo otaku e primo manifesto artistico di un regista capace di prendere un’opera senza pretese e renderla pregna di significati. È un grandissimo prodotto proprio perché non condivide nulla con l’originale.
A distanza di oltre 30 anni, questo film dal taglio surrealista così saturo di citazioni dallo stampo storico, rimane uno dei più grandi di sempre, quantomeno fra quelli tratti da serie televisive.
                    
Voto: 9

lunedì 12 dicembre 2016

Black Jack – Dieci Indagini Nel Buio


Anno: 1993 – 2000
Formato: Serie OAV – 10 Episodi
Produzione: Tezuka Productions
Disponibilità: Yamato Video

“Sono convinto che i fumetti non debbano solo far ridere. Per questo nelle mie storie trovate lacrime, rabbia, odio, dolore e finali non sempre lieti” – Osamu Tezuka

I primi anni 70 sono considerati il periodo più difficile di tutta la carriera di Osamu Tezuka: la sua rivista COM è costretta a cessare ogni attività a causa di problemi aziendali, e come se non bastasse rassegna le dimissioni dalla Mushi Production, lo studio di animazione fondato da lui stesso nel 1961, il quale 2 anni dopo finisce in bancarotta, generando molto clamore a livello mediatico. Nonostante l’addio, decide di caricarsi sulle spalle tutti i debiti.
Inoltre, la critica reputa il suo lavoro ormai superato. Ai nuovi autori è permesso lavorare in un clima diverso rispetto a Tezuka, in quanto liberi dalla censura del dopoguerra e chiaramente più espliciti a livello di storia e tematiche. Ciò li rendeva più interessanti agli occhi dei lettori.
Come sempre, anziché farsi trascinare dagli eventi, risponde con grande caparbietà, realizzando in quella decade un numero elevatissimo di opere, più che in ogni altra fase della sua vita professionale.
Tezuka, una delle figure più importanti della cultura popolare nonché responsabile del boom dell’animazione televisiva in Giappone, deve però confrontarsi con un paese in crisi in ogni settore produttivo.
Nel 1973 gli viene richiesto di scrivere una serie in quattro parti al fine di celebrare i suoi personaggi più conosciuti. Black Jack, creato solo per mantenere continuità nella storia, vi appare per la prima volta.
Il successo riscosso è clamoroso: il manga si protrae per oltre un decennio, fino ad incrociare gli anni 80, epoca di mutamenti e globalizzazione, dove l’interesse per la cultura nipponica si espande a dismisura all’estero.
Per la realizzazione dell’opera tornano utili gli studi di medicina praticati da Tezuka presso l’università di Osaka.
Il mangaka diventa sempre più richiesto anche dai media internazionali, ma è solo dopo la sua morte che il geniale chirurgo spesso paragonato a Batman, ottiene la propria trasposizione animata.


Siamo nel 1993, e per la regia non viene chiamato un nome a caso, bensì Osamu Dezaki, stretto collaboratore di Tezuka, fra i fondatori della Madhouse nonché uno degli uomini più stimati alla Tokyo Movie Shinsa, il quale dopo un periodo trascorso fuori dal paese, rientra in patria nello studio di animazione aperto dal maestro 25 anni prima per gestire i suoi progetti fumettistici.
Il character design, particolare e con maggiore propensione verso i volti femminili, è del fidato Akio Sugino.
Al loro nome sono legate serie come Rocky Joe, Jenny La Tennista, Space Adventure Cobra e Caro Fratello.
Il lavoro viene rilasciato sul mercato degli OAV, formato redditizio che lungo gli anni ha permesso a numerosi registi di affinare la propria arte (Kawajiri su tutti), giacché utile a sperimentare tecniche alternative con un ritorno economico sicuro grazie alle licenze.
Dopo infatti numerose battute a vuoto nei cinema, si comincia a stringere i fondi evitando rischi.

Black Jack è un viaggio all’interno del folklore nipponico, una storia matura e d’avanguardia che rispecchia la realtà contemporanea, che adegua l’animazione ai canoni del cinema e della letteratura, libera da futili convenzioni narrative, che soddisfa anche gli spettatori più giovani cresciuti con videogiochi e musica pop, mischiando innumerevoli generi.
Si passa dal militarismo a vicende dai forti contorni storici e politici, evidenziando l’aspetto drammatico, attraverso una molteplicità di scelte stilistiche frutto della personalità poliedrica dell’autore, con un ritmo narrativo più lento e meno incline al pragmatismo.
Ci viene presentato un prodotto duraturo e versatile dove egli ha la possibilità di dare libero sfoggio alla sua fantasia con precisi rimandi sociali e talvolta ambientalistici, in un contesto privo tuttavia di riferimenti temporali.
Attraverso l’anticonformismo del protagonista, Tezuka rigetta tutto il proprio disprezzo nei confronti delle istituzioni mediche.

In “Dieci Indagini Nel Buio” affiora il significato della vita, di conseguenza scegliere la migliore fra queste 10 storie è un esercizio puramente soggettivo.
Inutile dire che siamo dinnanzi ad uno dei capostipiti dell’ambito preso in esame, ne raccomando pertanto la visione assieme al lungometraggio “La Sindrome di Moira” del 1996.

Voto: 8

domenica 20 novembre 2016

Capitan Harlock – L’Arcadia Della Mia Giovinezza

 

Anno: 1982
Formato: Lungometraggio
Produzione: Toei Animation
Disponibilità: Yamato Video

Oggi torniamo indietro nel tempo, nello specifico a quella che è ricordata come l’epoca d’oro, non solo dell’animazione giapponese, a causa del boom consumistico in vari settori, per parlare di una delle figure più iconiche e discusse di sempre.
Capitan Harlock è il personaggio più antico dello sterminato universo di Leiji Matsumoto. Risale al periodo del dopoguerra, quando un allora 16enne partì dall’isola di Kyushu fino ad arrivare a Tokyo per trasferirsi in un pensionato per studenti, colmo di speranze e sogni.
Come dichiarato recentemente, forse non li ha realizzati tutti, ma di sicuro ci è andato molto vicino.
Noi ci concentriamo sul 1982, quando ormai consacrato supervisiona un progetto serio e ambizioso: il debutto cinematografico dell’antieroe per eccellenza.
L’intento è quello di celebrare il ventennale della Tokyu Agency ma anche di pubblicizzare l’approdo della serie televisiva in autunno, ponendosi a tutti gli effetti come un prequel.
A capo della direzione artistica troviamo Tomoharu Katsumata, uomo fedele della Toei, già conosciuto per aver offerto il proprio contributo a serie mecha come Mazinger Z, Getter Robot e UFO Robot Grendizer.
Viene ripresa l’astronave del primo film di Galaxy Express 999, risalente a ben 3 anni prima. Sorgono anche dei contrasti, siccome il merchandising del primo è prodotto dalla Bandai, mentre Harlock tiene la Takara come sponsor.
Il nome Arcadia non è a caso, in letteratura allude al rapporto pacifico fra uomo e natura, elemento già ricorrente in un’altra delle sue serie: la Corazzata Spaziale Yamato. La Terra appare come un ambiente naturale da preservare.
Con sorpresa di molti, la sceneggiatura si compone attraverso una raccolta di storie brevi realizzate dal maestro in periodi diversi della propria carriera.
Una modifica in evidente controtendenza al cartaceo riguarda un aspetto che racconta molto della sua filosofia: il finale è sempre meno importante della motivazione che lo crea.
Per questo i suoi manga possono essere visti come inconcludenti. Tuttavia nell’anime ha dovuto necessariamente collaborare per soddisfare le esigenze della massa.
Il primo impatto è ricco di spunti: Matsumoto rappresenta una società no-global dove i regimi totalitari e il capitalismo privato hanno preso il sopravvento, soffocando e al tempo stesso manipolando le persone, dove la diversità non è ammessa.
Si espongono concetti che il pubblico di allora non comprende fino in fondo, basti pensare all’involuzione delle classi medie e alle macchine che ormai hanno finito per sostituire l’uomo.
La narrazione è prettamente incentrata su toni drammatici, richiede un’attenzione costante, e non disdegna le sequenze statiche.
Il tenore della pellicola permette alla psicologia dei PG di emergere: tutti i comprimari sono rappresentati in maniera viva, densa e complessa. E per l’unica volta abbiamo la possibilità di ammirare il protagonista innamorato, che sotto la bandiera del teschio combatte per i propri ideali.
A tutto ciò si aggiunge una regia eccezionale: grafica, fluidità delle animazioni e disegni che sovrastano gli standard dell’epoca.


In Italia è stato trasmesso in svariate occasioni, come nella consueta fascia pomeridiana diviso in 4 parti e in seconda serata negli anni 90.
Una nota dolente riguarda l’adattamento. Già nella serie del 1978 furono applicate pesanti censure.
Nella scena iniziale, tratta da una storia corta del 1973, dove i produttori giapponesi han voluto presentare il personaggio in età adulta, ci sono gravi stravolgimenti nei dialoghi: nell’originale parla l’antenato, mentre nella versione nostrana si sente il protagonista. E viene anche aggiunta una frase che lascia supporre la morte dell’avo, come se questo possa servire a giustificare in qualche modo.
Inoltre vengono eliminati tutti i riferimenti legati al fatto che il parente di Harlock appartenesse alla Luftwaffe.
Non è un segreto che Matsumoto abbia scritto numerose storie attorno alla figura di giovani piloti tedeschi calati nel contesto della seconda guerra mondiale.
Sempre nei primi minuti, quando la narrazione si sposta sul protagonista, c’è una frase sugli Illumidiani rivisitata: Harlock, infatti, si domanda con aria sconsolata se lo attende la fine, mentre in Italia tale concezione umana lascia spazio ad una banalissima frase di speranza. E questo elimina completamente il pessimismo che pervade l’opera e riempie la poetica del maestro.
Sottigliezze, direbbero alcuni, ma in realtà quanto appena menzionato costituisce solo una piccola parte dei disastri combinati. Cambiamenti inaccettabili anche se si pensa al target rivolto.


A dispetto del 75% (e sto basso) delle produzioni destinate alle sale cinematografiche nipponiche tratte da un franchise popolare, che non aggiungono niente alla storia principale, questo lungometraggio approfondisce uno dei temi su cui verte la prima serie, ovvero il passato fra il protagonista e Tochiro.
Narra le origini di una delle epopee più importanti nella storia dell’animazione con tutto il senso di rivalsa tipicamente nipponico, dinnanzi ad una battaglia già persa in partenza. Il prodotto mantiene i lineamenti caratteristici dei lavori di Matsumoto: fantascienza, western, tematiche di libertà e guerra, senza tralasciare la critica sociale e politica.
L’Arcadia Della Mia Giovinezza è un film imprescindibile per ogni fan della serie, ma si presta anche a bacini d’utenza più ampi, visto che si tratta di un prologo e può essere compreso da tutti.

Voto: 8

martedì 15 novembre 2016

Nanatsu No Taizai – The Seven Deadly Sins


Anno: 20142015
Formato: Serie TV – 24 Episodi
Produzione: A-1 Pictures
Disponibilità: Netflix


La grande popolarità di cui gode questo prodotto offre una panoramica inerente al pubblico che fruisce dell’animazione giapponese.
La narrativa fantasy, pur non essendo per caratteristiche concepita verso un target specifico, è quella che certamente riscuote maggiore successo presso gli adolescenti, specialmente nei paesi occidentali. E si sa, il mercato editoriale punta a massimizzare i guadagni.
In quest’epoca è veramente difficile trovare opere che si assumono rischi a livello contenutistico, poiché sponsor e network non mancano di far sentire il proprio peso.
L’osservatore non crea il mondo, ma gli da senso. L’originalità significa tutto e niente al giorno d’oggi, poiché è veramente difficile creare qualcosa di nuovo senza attenersi agli innumerevoli canovacci narrativi.
Esiste, tuttavia, la tendenza ad emulare nella speranza di ottenere il successo altrui, perché cavalcare l’onda e riprendere le atmosfere di Dragon Ball e One Piece è sempre più facile che partire da zero.
Nanatsu No Taizai non si presenta come un titolo di pura evasione, mira a sottolineare i valori più puri attraverso un linguaggio molto semplice e comune, mantenendo una narrazione fresca e leggera.
Si viene catapultati all’interno di un universo di cui l’autore stabilisce da subito regole e leggi, salvo poi incappare in qualche svista, come le gerarchie di forza che col progredire della storia appaiono sempre più confusionarie e dispersive.
Chi si cimenta con questo genere non può inoltre ignorare l’importanza della documentazione, che qui risulta solo abbozzata.
L’introspezione non è contemplata, il setting sociale e storico non è assolutamente all’altezza, e non viene nemmeno sviluppato a causa di una sceneggiatura più avvezza al fanservice esasperato, che strumentalizza la figura femminile a più riprese.
Sappiamo che il Giappone non è il paese più facile da questo punto di vista, come testimoniano le riforme attuate al termine dell’era Meiji, ma il modo in cui quest’opera relega la donna è degna delle peggiori commedie amorose del secolo scorso. Avrei anche potuto accettarlo negli anni 80, ma ormai il panorama nipponico è notevolmente cambiato.
Insomma, un inno alla mediocrità; un’opera imbarazzante, rivolta palesemente ad una frangia molto giovane, la quale brucia un incipit interessante all’interno del solito mondo stereotipato, attraverso una struttura narrativa abbastanza fiabesca che mescola comicità, azione e dramma proponendo temi e situazioni scontate. Il character design infantile contribuisce allo scopo.
Ricordate quando Mamoru Oshii (Tenshi No Tamago, Ghost In The Shell, ecc.) affermò di produrre film soprattutto per se stesso? Ecco, qui invece abbiamo la prova lampante di tutto ciò che racchiude la fredda logica del consumismo giapponese.
Per una persona che guarda anime incessantemente dal 2009, è veramente troppo.


Voto: 5

giovedì 14 maggio 2015

Il Potere Del Marketing


Mi ritrovo a scrivere a pochi minuti dal termine dell’ultima semifinale di Champions League.
Una gara disputata al Santiago Bernabeu, che per la venticinquesima volta (e anche ultima sotto questa denominazione) ha ospitato un evento di questa dimensione.
25 semifinali, che col tempo hanno rafforzato il valore del brand chiamato Real Madrid. Il numero uno al mondo in termini di fatturato.
La macchina perfetta però ha fallito.
Oggi non parleremo della Juventus, la quale in un panorama totalmente avulso come quello italiano, ha l’enorme merito di essere emersa con qualcosa che purtroppo molte società non conoscono: la progettualità.
Infatti a causa della mancanza di denaro, gli incassi degli stadi divengono importanti per i bilanci. E le tifoserie vogliono i risultati subito.
Per questo in Italia tutto viene destinato alla prima squadra, fra ingaggi elevati e rose ampie. 
Non è un caso se la nostra nazionale sia assente ai mondiali U-18 e U-20.
Il club che Andrea Agnelli amministra dal 2010 costituisce una piacevole eccezione, e se da un lato 250 milioni di bianconeri sparsi per il mondo gioiscono, nella capitale spagnola si interrogano.

“Perché Morata non gioca nel Real?”
“Possibile aver perso la Champions e il campionato in quattro giorni?”
Le più frequenti.

Mi sembra acclarato che a Madrid prediligano il fattore mediatico.
Non basta solo il talento (hanno sempre creduto poco nel vivaio), servono vere e proprie star, utili ad attirare nuove fasce di pubblico.


I diritti televisivi hanno contribuito alla situazione attuale. In quest’epoca i calciatori guadagnano più degli attori.
La campagna acquisti della scorsa estate ha pesantemente inciso sugli equilibri del gruppo: James Rodriguez è stato reinventato come mezzala, Kroos gioca da regista pur esprimendo il meglio di sé in fase più avanzata.
Insomma, bisognava rinforzare il marchio. Nonostante tutto, i Galacticos hanno retto fino al Mondiale per club, grazie a Modric, collante della squadra.
Oggi si parla di fallimento, ma era ampiamente prevedibile.
Lo stesso Bale viene impiegato su una fascia che lo costringe a ripiegare e a crossare col piede debole. Uno spreco.
Personalmente riesco a trovare analogie con ciò che accadde nel 2003.
Anche in quel caso il Real fu eliminato dalla Juventus in una semifinale di Coppa Campioni (splendido gruppo, ma con molti elementi a fine ciclo, come testimoniò la finale poco brillante: Ferrara, Montero, Tacchinardi, Conte, Pessotto, Iuliano, Birindelli, Davids), ma arrivava da un’annata altamente positiva, terminata con la vittoria nella Liga.
All’epoca David Beckham aveva già raggiunto un accordo col Barcellona, salvo poi approdare fra i Blancos (questo determinò l’arrivo in Catalonia di Ronaldinho dal PSG…la scelta su chi fece l’operazione migliore è abbastanza scontata) in sostituzione di Claude Makélélé, fuoriclasse assoluto che contribuì enormemente ai successi del Chelsea di José Mourinho, rivoluzionando il ruolo del centrocampista centrale.
L’inglese è passato alla storia come uno dei calciatori più sopravvalutati: una carriera costruita sulla capacità di vendersi.
Quest’ultimo, Luis Figo e Zinedine Zidane non erano propriamente 3 calciatori inclini a svolgere la fase difensiva, e complice l'addio dopo 14 stagioni dello storico capitano Fernando Hierro, la squadra sbandò, attraversando una stagione difficile, con il quarto posto in classifica e, dato eclatante, 54 reti subite su 38 partite.
E qui torniamo al discorso di prima, l’equilibrio. A volte il marketing non rappresenta un bene.
Inevitabile perdersi in supposizioni, in questi casi a farne le spese è sempre l’area tecnica.
Florentino Perez ha un sogno: Zizou sulla panchina madridista.
Già, il marketing.

venerdì 23 gennaio 2015

WWE Royal Rumble 2015 – Pronostici


Primo articolo dell’anno: buona lettura.

WWE Tag Team Championship: The Usos vs The Miz & Damien Mizdow

L’inaspettato cambio dello scorso mese offre un quadro generale: ennesima prova dell'incapacità di costruire che vige in WWE, la quale costringe i dirigenti a ripiegare sempre sui soliti nomi.
Una delle innumerevoli conseguenze portate dal fatto di riscrivere continuamente gli show, anche a pochi minuti dalla messa in onda.
Senza sceneggiature chiare e precise è impossibile smuovere la situazione. 
Punto su una riconferma.

Paige & Natalya vs The Bella Twins

Potenziale contesto a tre trasformato in un match a squadre in virtù dell’infortunio occorso alla campionessa, che grazie a questa scelta verrà protetta.
Gli scenari sono aperti, e variano molto; fondamentalmente però l’evoluzione del feud aprirà verso una difesa titolata.
La logica narrativa impone lo split fra l’inglese e la canadese (con conseguente perdita), testimonianza di come (nell’epoca attuale) quelli di Stamford non stiano inventando nulla di nuovo, bensì solo rigenerando il prodotto in base a specifiche fasce d’età.
A questo ha contribuito anche Total Divas, che determina spesso le storie all'interno della categoria.


The New Age Outlaws vs The Ascension

Potremmo fare un sacco di discorsi relativi al modo sbagliato di lanciare i giovani, ma affiorerebbero in ogni caso due dati dal contestatissimo segmento di lunedì: 
Visibilità ai nuovi arrivati
Pretesto per riempire la card e accrescere lo status degli Ascension

Questi ultimi, oltre a disporre di un character difficile da raccontare, difettano parecchio sul piano delle skills.
E nonostante la capacità di fidelizzare una parte del proprio pubblico attraverso scelte di marketing sia sempre impeccabile, resta vivo l’auspicio secondo il quale questa mentalità da Era Gimmick finisca presto.


WWE World Heavyweight Championship: Brock Lesnar (w/ Paul Heyman) vs Seth Rollins (w/ J & J Security) vs John Cena

Cerchiamo di smentire il rumor principale, quello che prevede l’incasso di Rollins: fino a Wrestlemania Lesnar resterà al suo posto, altrimenti si rischierebbe di buttare al vento quello cominciato 9 mesi fa a New Orleans.
L’ex ROH, cui peraltro sta beneficiando della costruzione migliore, deterrà il titolo solo in seguito, quando sarà ormai scaduto il contratto all’originario del South Dakota.
Cena, che si avvia a trascorrere per un’altra volta il periodo più importante dell’anno ad elevare altri, scomparirà momentaneamente dalla zona titolata. 


Royal Rumble Match
I pronostici vertono su due nomi: Roman Reigns e Daniel Bryan.
Il primo rientra in quella categoria di intrattenitori che nel breve periodo piacciono ad un pubblico di natura Mark (lo stesso dicasi a favore di Ryback): con le scritture pessime a cui siamo abituati, inevitabile sarebbe stato un calo dell’attenzione da parte del pubblico, eppure è subentrato l’infortunio, il quale al rientro lo ha reso ancora più over. Ora è tardi, e se commetteranno l’errore di fargli vincere la Rumble, non si potrà più tornare indietro, giacché si dovrebbe impostare qualcosa con colui che si è appropriato della Streak, incredibilmente rilevante a livello storico.
Al momento è incapace di reggere tutto, però quest’opzione risulta la più concreta, a giudicare dal materiale promozionale distribuito.
Motivazione? Purtroppo si sono resi conto tardi di non essere coperti senza John Cena, ed adesso si ritrovano costretti a velocizzare le pratiche, dal momento che il prescelto dispone delle peculiarità fisiche funzionali all’immagine che la WWE vuole dare. E’ altresì vero che scovare talenti in grado di scaturire sempre una reazione sia difficile.


Il secondo invece rappresenta solo un modo dei fan per congetturare.
Sì, scordatevi un’affermazione di Bryan: l'inserimento dell'anno scorso fu una manovra estemporanea, dettata da una situazione insostenibile, la quale avrebbe potuto riflettersi anche sulle vendite. È risaputo che non vedano egli in quella posizione.
Inoltre, davvero credete che ripropongano qualcosa di speculare a distanza di solo un anno?
Dal canto mio spero in una vittoria di Ambrose, magnifico storyteller che col grado recitativo di cui dispone, potrebbe svolgere un lavoro egregio.

Alla prossima.

giovedì 1 gennaio 2015

Serie A – Mercato Invernale 2015: Gli Acquisti Delle “Big”


Ben trovati e buone feste: in concomitanza con l’avvio della sessione invernale del mercato, ho deciso di scrivere un articolo in cui indico gli acquisti che reputo necessari per rendere le squadre di prima fascia del nostro campionato, ancor più competitive.
È chiaro che le rose potrebbero essere ulteriormente migliorate, ma io oggi indico quelle che sono le priorità.
Contrariamente alle stagioni passate, sono in programma già colpi di grande rilievo, finalizzati a trasformare favorevolmente l’annata.
Dedicato ironicamente a tutti coloro che parlano di un “mercato di riparazione”.


Come preventivato il problema non è legato alla conduzione tecnica; ho già avuto modo di parlare di questa squadra, ponendo la mia attenzione principalmente sull’organico, che rappresenta la vera piaga.
L’intento di Mazzarri era quello di riportare l’Inter a competere per lo scudetto, progetto speculare a quello assegnatogli dalla società partenopea nel 2009, che l’ha poi reso uno degli uomini più desiderati d’Italia (naturalmente in ambito sportivo, LOL).
Risulta più complicato tutto ciò quando ti ritrovi giocatori mediocri, e lo stesso Mancini pare essersene accorto.
Uno degli esempi più eclatanti che posso portare a sostegno delle mie tesi, è costituito dall’incontro tenuto contro la Roma nell’omonima città lo scorso 27 novembre: tutto ruota attorno al centrocampo.
In quella circostanza sono state realizzate due reti, ma su palla inattiva e a causa di una deviazione. Inoltre, è emersa la qualità degli avversari, con Pjanic e Nainggolan liberi di inserirsi e sganciarsi.
Ecco quello che manca. Verosimilmente con un regista capace di mettere ordine (figura caduta sempre più in disuso nel calcio), l’Inter consegnerebbe ai propri attaccanti molti più palloni.
Non a caso, è da sempre abitudine dell’allenatore quella di allargare gli interni in modo da sovrapporli ai difensori, sfruttando la velocità.
Certo, ci sono Kovacic e Hernanes, ma è evidente come Mancini li veda in altri ruoli, e non mi riferisco agli esterni, tattica adottata da egli per spingere la società a comprare giocatori funzionali al modulo che intende applicare.


Il Milan necessita di sfoltire, effettuando al contempo qualche acquisto mirato, in modo da consegnare ad Inzaghi una prima punta (Menez generalmente lungo la propria carriera è stato troppo incostante) ed un regista per migliorare il possesso e le occasioni.
Non lasciatevi ingannare, questa squadra ha numerosi limiti in quella posizione:

Van Ginkel pecca in profondità
De Jong non vanta la precisione adatta per ricoprire un ruolo simile, è un semplice mediano di rottura.

Rimane Montolivo, il quale tuttavia gode di estrema sopravvalutazione. Personalmente, mi affiderei ad altri interpreti.
Con gli accorgimenti giusti, c’è la possibilità di formare un centrocampo compatto con Bonaventura divenuto ormai imprescindibile (per tutto quello che lascia in campo), e Poli che ha la tendenza di avanzare.
Occorre anche migliorare il gioco (davvero brutto, nonostante sia in ripresa da alcune giornate) e i tempi d'intervento della difesa.

Napoli che mirava al campionato, ma che si trova ben lontano dall’obbiettivo dichiarato.
Non basta una Supercoppa vinta ai rigori con grande caparbietà in quel di Doha, a spazzare via tutti i dubbi e le incertezze che hanno imperversato per questo girone d’andata.
Caratteri dominanti? Difesa e centrocampo: tendenzialmente soffrono e perdono troppe palle, l’inserimento di un mediano di livello sarebbe fondamentale.
Nota a margine per Aurelio De Laurentiis: temo che il presidente, per questioni legate al bilancio, non possa più offrire garanzie finanziarie per effettuare l’ultimo salto, quello utile a portare questa società all’atteso titolo nazionale.
E smettiamola di mettere continuamente in discussione Benitez, che è solo un privilegio.
Sostanzialmente, la Roma deve rinforzare due reparti: attacco e porta.
In un gioco composto prevalentemente da lanci lunghi provenienti dalle fasce, la presenza di Totti, il quale sbaglia spesso molti appoggi e fatica sul piano del ritmo, risulta inutile.
Come alludevo, si tratta di una squadra che sfrutta gli esterni per le ripartenze, sotto questo aspetto è mancato Iturbe, valutato a peso d’oro.
Le noti dolenti non si fermano qua; De Sanctis, fresco di rinnovo, è apparso incerto e poco costante.
Con questi due aggiustamenti, i giallorossi diverrebbero completi.
Sembra destinata a protrarsi la telenovela legata a Strootman, che verosimilmente raggiungerà Louis Van Gaal a Manchester la prossima estate.
Da risolvere anche la vicenda Keita, che giocando basso in questa prima parte della stagione, ha svolto un lavoro egregio.

Dopo circa 5 mesi, mi sento di affermare che Allegri si è inserito con grande intelligenza nell’ambiente juventino, attuando il cambio del modulo con i tempi giusti, senza imporre le proprie idee. A differenza di altri (ogni riferimento a Luigi Delneri e al suo intramontabile 4-4-2, è puramente casuale).
Scelta corretta per una squadra che per quanto forte, stava divenendo ripetitiva negli schemi.
In una situazione in cui aveva solo da perdere (e per questo lo ringrazio), il livornese ha saputo rimodellare una squadra che ora è in grado di gestirsi bene senza eccessivi sforzi agonistici, malgrado alcuni elementi debbano coprire più campo.
Spazzati via anche i dubbi circa il ruolo di Lichsteiner, il quale non ha faticato a adattarsi in una difesa composta da 4 giocatori. Prevedibile viste le caratteristiche che possiede (attacca, ripiega, spinge e si propone).
Tuttavia è evidente come il tecnico necessiti di ulteriori ricambi, dopo un mercato estivo assolutamente non all’altezza.
Penso infatti che i campioni d’Italia, prima del processo di rinnovamento della rosa in estate (assolutamente necessario), debbano migliorare due reparti: difesa e attacco.
La prima non è assolutamente all’altezza, soprattutto se la dirigenza mira ai quarti di Champions League, mentre il reparto offensivo è in vera e propria emergenza: Llorente, malgrado venga spesso servito male, è un giocatore statico e utile solo per le sponde. D’altro canto Tevez, che nelle ultime ore ha esternato la sua volontà di non prolungare il contratto, ha raggiunto i 30 anni ed è molto altalenante.
In Italia, complice la decadenza del nostro calcio, il sistema mediatico tende ad innalzare a “Top Players”, professionisti che non meritano tale appellativo, e l’argentino non sfugge a questo principio.
Corre e si sacrifica, ma vanta innumerevoli difetti.
Non si può dormire sereni nemmeno con il classe ‘92 Alvaro Morata, bravo a dare profondità, il cui intento è quello di rientrare a Madrid e essere l’erede di Benzema.
I dati parlano chiaro, alla Juventus serve un attaccante garanzia assoluta di reti: i tre hanno segnato la metà delle reti totali complessive.
Sul trequartista non mi esprimo: in quel ruolo vige un assoluto sovraffollamento, con Pereyra che ha saputo integrarsi bene, e quando si sbloccherà, sarà un elemento fondamentale.
Lo stesso Perotti, esterno del Genoa dotato di classe, piedi docili, dribbling e cambio passo che disorienta (nonché ottimo in tutte le fasi), ad oggi non è indispensabile.
Da valutare invece la situazione Vidal, apparso poco lucido e disordinato in questa prima parte della stagione.

Alla prossima.